All’alba di ieri, martedì 21 luglio, operazione della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Rimini, denominata “Darknet“.
In Emilia Romagna ed in contemporanea nelle regioni Piemonte, Lombardia, Lazio, Marche, Campania, Basilicata e Calabria, le Fiamme Gialle, con la collaborazione del GICO di Bologna e dei colleghi di altri 14 Comandi Provinciali, con circa 300 militari in azione, hanno disarticolato un’associazione criminale di matrice camorristica con base nella Bassa Romagna, in particolare nella città di Cattolica.
Le ramificazioni e vari interessi economici hanno interessato anche le province di Torino, Milano, Parma, Pesaro-Urbino, Forlì, Cesena, Avellino, Napoli, Salerno, Potenza e Matera, con al vertice personaggi legati al clan dei Sarno e dei Casalesi.
I finanzieri, coordinati e diretti dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Rimini, hanno dato esecuzione, in 15 province, di 8 regioni italiane, ad 80 perquisizioni e ad un’ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, presso il Tribunale di Bologna, che ha disposto, nei confronti di 9 persone, 5 misure cautelari in carcere, 3 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora.
I reati contestati sono di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
A vario titolo, sono coinvolte 55 persone con reati aggravati, per alcuni di loro, per averli commessi al fine di agevolare i rispettivi clan.
I militari, inoltre, hanno dato seguito all’esecuzione di un decreto con il quale lo stesso GIP ha ordinato, in 11 province, il sequestro preventivo delle quote sociali e dei beni aziendali di 17 imprese, ritenute infiltrate dalla criminalità organizzata e fittiziamente intestate a prestanome.
Le operazioni sono state eseguite nei settori edilizia, ristorazione, commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, sale gioco, impiantistica, noleggio auto, per un valore complessivo stimato di 30 milioni di euro, oltre al sequestro, per equivalente, in ordine ai reati di riciclaggio e corruzione di ulteriori beni e disponibilità per un valore di circa 1 milione di euro.
Le complesse indagini, avviate nel novembre 2017 e svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Rimini, sono partite dalla città di Cattolica, dove risultano domiciliati diversi esponenti della criminalità organizzata campana e loro familiari.
Il tutto è avvenuto sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Rimini e successivamente trasferite, per competenza, alla Procura distrettuale di Bologna, dal Pubblico Ministero, dott. Marco Forte.
Le investigazioni hanno in sostanza permesso di far emergere l’esistenza di una compagine criminale stabilmente stanziata nella provincia riminese, al cui interno si evidenziavano in posizione di predominio i seguenti indagati:
G.I. (destinatario di o.c.c. in carcere), pluripregiudicato, sorvegliato speciale, cognato di V.S. (capo dell’omonimo clan napoletano e oggi collaboratore di giustizia);
L.S.R. (in carcere), pluri-pregiudicato, gravato da 4 condanne definitive per reati contro la persona e in materia di armi, genero di E.Z. (pluripregiudicato, gravato da condanne definitive, per complessivi 25 anni di reclusione, per traffico di stupefacenti, indiziato di appartenere al Clan dei Casalesi) e cugino di G.I.;
A.D.M. (in carcere), volto “pulito” dell’associazione incaricato della gestione delle diverse società operanti nel settore dell’impiantistica industriale, di cui I. e R. erano soci occulti ed effettivi dominus.
Sono stati individuati anche altri due livelli.
Il primo costituito da coloro che avrebbero posto la propria attività al servizio del sodalizio nella consapevolezza della correlazione funzionale con gli obiettivi dello stesso, S.Z. (in carcere), F.C. (in carcere), P.C. (arresti domiciliari), T.G. (arresti domiciliari).
Il secondo livello è invece costituito da tutte quelle persone, oltre 30, che si sarebbero prestati nell’attività illecita di interposizione fittizia, ma dei quali non vi è certezza della partecipazione al sodalizio criminale, trattandosi di reclutati all’occorrenza per ragioni di parentela o vicinanza, con i singoli indagati, come nel caso di P.S. (arresti domiciliari) e G.S. (obbligo di dimora).
Le indagini hanno reso possibile documentare le fasi evolutive della cellula criminale, che in breve tempo, al fine di agevolare l’operatività dei clan camorristici è riuscita ad infiltrarsi nell’economia legale della Romagna e aree limitrofe, controllando diverse attività economiche in diversificati settori imprenditoriali, come l’edilizia, la ristorazione e l’impiantistica industriale, drenando risorse mediante fatturazioni, per operazioni inesistenti tra le società a loro riconducibili; asservire la funzione pubblica di due incaricati di pubblico servizio, agli scopi dell’organizzazione criminale, per l’acquisizione illegale di appalti pubblici; reinvestire e auto-riciclare in attività imprenditoriali, immobiliari e finanziarie, ingenti somme di denaro derivanti da attività delittuose; intestare a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali frutto di attività estorsive e dello spaccio di stupefacenti; affermare il proprio controllo egemonico sul territorio basso romagnolo e potentino, attraverso la repressione violenta dei contrasti interni.
In merito è emerso che I.G. e L.S.R., nonostante un apparente situazione reddituale insufficiente a soddisfare i fabbisogni primari, in realtà manifestavano un’elevata disponibilità economica, derivante, come evidenziato dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, dalla loro partecipazione occulta in numerose società operanti nei più disparati settori economici e formalmente intestate a prestanome, dalle quali gli indagati, con la connivenza del commercialista P.C., drenavano gli utili mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro e il successivo prelievo in contanti dei pagamenti ricevuti.
Inoltre, società di fatto riconducibili ai due pregiudicati erano riuscite ad ottenere, tramite pratiche corruttive e alterando le gare d’appalto, l’esecuzione di lavori pubblici all’interno della SSICA (Stazione Sperimentale per l’industria delle Conserve Alimentari) di Parma.
I proventi illeciti venivano riciclati utilizzando una sala giochi e scommesse ubicata a Cattolica, riconducibile sempre agli indagati principali, ma gestita formalmente da G.F.
Quest’ultima al fine di riciclare le somme provenienti dai reati in contestazione aveva in più circostanze simulato vincite al gioco.
Tutti i dettagli sono stati forniti nel corso di una conferenza stampa, che si è tenuta presso il Comando Provinciale di Rimini, alla presenza del Procuratore della Repubblica Distrettuale di Bologna, dott. Giuseppe Amato e del Procuratore della Repubblica di Rimini, dott.ssa Elisabetta Melotti.
Rocco Becce
Direttore Editoriale